La trappola dei deinfluencer racconta chi siamo | Next Adv

La trappola dei deinfluencer racconta chi siamo

Riuscire ad interpretare le tendenze online e la relativa comunicazione digitale significa anche saper comprendere la realtà. Oggi, il nuovo fenomeno dei deinfluencer può essere un ottimo spunto per farlo.

Di Simone Ciferri

20 Mar - 11 min lettura

Ammettiamolo: tutti noi siamo voraci consumatori di contenuti digitali.

Dall’informazione al puro intrattenimento, dalla cultura ai consigli per gli acquisti: i contenuti online vengono prodotti a un ritmo serratissimo da utenti in carne e ossa (e da qualche mese anche dalle intelligenze artificiali) e, per questo motivo, sono perfetta espressione dei cambiamenti della società in cui viviamo.

Nuove consapevolezze, una rinnovata cultura ambientalista e maggiore inclusività. Tendenze, queste ultime, trainate dalla prima vera generazione nativa digitale a cui influencer (e deinfluencer) sono così affezionati.

Sono queste, forse, le basi di partenza che stanno lentamente cambiando gli schemi della comunicazione online, i cui maestri sono sempre stati gli influencer. 

Almeno finora. 

 

Chi sono i deinfluencer?

 

Andiamo dritti al punto: chi sono i deinfluencer e perché se ne sta parlando così tanto?

Se gli influencer rappresentano, letteralmente, quegli utenti popolari in grado di influenzare le scelte d’acquisto della loro community grazie alla notorietà e alle abilità comunicative, i deinfluencer sono invece quei content creator capaci di convincerti a non acquistare determinati prodotti e servizi. Nascono come risposta etica a un’economia fondamentalmente insostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, bersagliando in primis l’industria della moda. Inizialmente, infatti, i deinfluencer si limitavano a condannare il fast fashion e la sua catena produttiva tanto inquinante quanto insufficiente sotto il profilo dei diritti umani, per poi estendere il loro impegno sfidando a viso aperto altre industrie altrettanto insostenibili.  

A primo impatto, tutto ciò potrebbe sembrare solo un virtuoso approccio ambientalista e anticonsumista, frutto delle incertezze economiche che mai come negli ultimi anni hanno segnato in modo indelebile più di una generazione. Ma, se vista nel suo insieme, questa nuova tendenza ha tanto da raccontare sul reale funzionamento della macchina comunicativa che c’è dietro ai social network.

 

@alyssastephanie I love deinfluencing ❤️ #deinfluencing #deinfluencergang #cultproduct ♬ original sound – Alyssa ✨

 

Un trend, quello del deinfluencing, che ha messo in guardia parecchie aziende che facevano pieno affidamento su un approccio patinato alla comunicazione digitale per promuovere i loro brand, ormai sostanzialmente impopolare fra le nuove generazioni.

Per capire realmente cosa significa, come trasformerà la promozione online e come cambierà la comunicazione sui social network è importante conoscere lo scenario attuale. Perché i cambiamenti partono silenziosamente dal basso. 

Analizziamoli insieme.

 

Più attenti, responsabili e premurosi.

 

Ce lo hanno raccontato i numeri, quelli che più piacciono a noi. 

Dall’analisi di miliardi di dati di ricerca Google relativi al 2022 è stato possibile delineare le tendenze emergenti destinate a cristallizzarsi nella società del futuro. L’analisi di Think With Google – Year In Search 2022 ha fatto emergere che in Italia sono aumentate del 35% le ricerche contenenti climate action. Anche le questioni di genere e sessualità stanno acquisendo maggiore importanza, trascinando un numero sempre più alto di ricerche online relative a esperienze inclusive. Aumentano del 25% rispetto al 2021, infatti, le ricerche globali di natura informazionale contenenti Igbt meaning (“significato Igbt”), come they them pronouns Igbt meaning (“significato pronomi they them Iglt”). A livello nazionale, anche le ricerche contenenti diritti lgbt registrano un +25% rispetto all’anno precedente. 

Argomenti, questi, che da sempre hanno scaldato gli animi della generazione Z (anche chiamata Digitarians). Secondo i dati IPSOS, i nativi digitali cercano equità, inclusione e rispetto delle diversità, e ritengono essenziale un radicale cambiamento in grado di trasformare l’attuale modello economico in un’economia davvero eco-sostenibile.

Da uno studio del Credit Suisse Research Institute (CSRI), inoltre, è emerso che i Digitarians sono molto più attenti a un consumo sostenibile. Preferiscono prodotti a base vegetale, la mobilità sostenibile e il 63% di loro prevede di acquistare veicoli elettrici/ibridi. 

Dati fondamentali, questi ultimi, per comprendere realmente in quale direzione andrà il mondo. 

E, con esso, anche la comunicazione digitale.

 

La Generazione Z detta le regole del web.

 

Ripartiamo da Google.

L’anno scorso Prabhakar Raghavan, un dirigente dell’azienda, ha ammesso a malincuore che, secondo mortificanti studi interni, il 40% dei giovani Digitarians utilizza i social network per le ricerche online, preferendoli alla cara, vecchia ricerca Google e addirittura a Maps. Un numero gigantesco che apre una finestra su panorami incerti e inaspettati riguardo il futuro di Google e del web intero, di cui abbiamo già parlato qui.

 

La piattaforma social che, proprio grazie alla generazione di nativi digitali, è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni è stata TikTok. Qui le sopracitate tematiche etiche ed ecologiche trovano ampio spazio e anche il più acerbo dei content creator può vantare una cassa di risonanza non indifferente.

 

Secondo GlobalWebIndex, TikTok è utilizzato principalmente da persone di età compresa tra 16 e 24 anni, che lo hanno reso così popolare e, allo stesso tempo, lo hanno trasformato in una vera e propria officina digitale delle nuove tendenze. I motivi sono svariati: dall’approccio più autentico alla sensazione di poter condividere la propria vita senza sentirsi giudicati, fino all’interfaccia più intuitiva che punta tutto sui video di breve durata, compatibili con una soglia media d’attenzione via via sempre più bassa (che attualmente si attesta attorno agli 8 secondi). 

E così TikTok e la sua giovanissima community hanno iniziato a dettare trend che spesso hanno bucato lo schermo, arrivando a contaminare tutti gli altri canali di comunicazione. 

Sì, persino la tv.

 

L’autenticità, questa sconosciuta.

 

Andare virali è sempre stata prerogativa degli influencer, ma su TikTok le regole del gioco sono cambiate. 

Già, perché qui la linea di confine fra persone che influenzano e coloro i quali si lasciano influenzare è molto sottile. Da un lato vi è l’algoritmo della piattaforma, ultra personalizzato e costante generatore di nuovi stimoli, dall’altro vi sono le sopracitate attitudini della giovane popolazione che abita questo social network. Dall’unione di ciò non poteva che nascere questo nuovo fenomeno che tanto racconta chi siamo nella realtà e chi diventeremo nel mondo digitale: il deinfluencing.

 

In effetti, fare del sano deinfluencer marketing su TikTok appare quasi naturale, date le intrinseche caratteristiche della piattaforma che hanno portato gli utenti di tutto il mondo a preferirla per la sensazione di autenticità che essa riusciva a trasmettere. Uno studio recente ha infatti rilevato che il 64% di tiktoker ritiene di poter esprimere se stesso sulla piattaforma e il 56% dei Digitarians afferma di poter condividere contenuti che non pubblicherebbe altrove per via dell’immagine più “rustica” che questo social riesce a dare di sé. 

Per questi motivi, 1 utente su 2 confida nella totale genuinità dei content creator. D’altronde, è proprio qui che le distanze fra utenti e creator si sono finalmente accorciate, è questo il luogo digitale in cui gli influencer sono scesi dall’Olimpo per mescolarsi alla gente del popolo, consigliando adesso anche cosa non acquistare sulla base di motivi etici, ambientali e sociali.

E se tutto questo fosse una truffa?

 

Cosa si nasconde dietro i deinfluencer.

 

Fra i vari motti con cui TikTok amava promuoversi al pubblico più giovane c’era “Trends Start Here”, vale a dire: le tendenze partono da qui. E chi, se non proprio gli influencer, sono gli utenti più adatti a fiutare le nuove mode e cavalcarle per legittimi scopi economici? 

Mentre i primi video di deinfluencing sono spuntati all’inizio del 2023 come una sincera critica alle industrie più inquinanti e alle abitudini di consumo meno sostenibili, oggi il tag #deinfluencing registra numeri da capogiro.

Se hai guardato il video all’inizio dell’articolo forse lo hai già capito: i deinfluencer sono veri e propri influencer sotto mentite spoglie. Reinventarsi per restare al passo con i tempi: la più antica delle pratiche di rebrand. Ma stavolta nasconde qualcosa di decisamente più torbido.

Già, perché i cosiddetti “deinfluencer” hanno fatto leva sugli interessi più puri della loro community per mantenere alto il tasso di engagement, hanno fatto proprie quelle battaglie etiche così care alla Generazione Z, hanno sfruttato per fini consumistici una tendenza che aveva come obiettivo proprio quello di ridimensionare il consumismo sfrenato.

Perché, alla fine dei conti, i conti devono pur tornare. E la pratica di deinfluencing ha un preciso punto di atterraggio: un prodotto o servizio, spesso ben mascherato, reale protagonista della promozione.

Sebbene sia nata come una lodevole iniziativa dal carattere ecologico per limitare sprechi, inquinamento e diseguaglianze, il deinfluencing si è rivelato essere un vero e proprio influencer marketing travestito da marketing etico.

Uno stratagemma a tutti gli effetti, che di etico ha poco o niente.

È tutto legittimo, questo è importante precisarlo, ma è altrettanto importante sapere esattamente forma e colore delle trappole seminate in questo splendido universo parallelo che chiamiamo web.

Perché riconoscerle è importante per poterle evitare. E conoscere qualcosa in più sulla società in cui viviamo.