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Il web vuole la nostra rabbia.
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WeAreNext 12/2025
C’era una volta il clickbait.
Ti ricordi di lui? Quello che ti prometteva +++ Non crederai mai a cosa è successo dopo +++ ?
Bene: è cresciuto, ha messo su un bel po’ di muscoli, ha lasciato cadere i denti da latte e ha fatto a cazzotti per vincere il titolo di “parola dell’anno del 2025” secondo Oxford Dictionary.
Signore e signori: rage bait.
Forse l’avrai sentita in giro, o ti sarà capitato di leggerla da qualche parte. D’altronde, quest’anno il suo utilizzo si è triplicato. E non c’è da stupirsi.
Letteralmente, significa “esca della rabbia”, ed è una tecnica vecchia come il mondo che oggi trova nel web il suo habitat perfetto. Dopotutto, quale miglior canale se non quello più rapido mai inventato per far leva su emozioni a presa rapida, come la rabbia e l’indignazione? Quelle che oggi scattano davanti a un titolo, un video, un commento.
E infatti basta pochissimo: un’informazione monca, una scena tagliata ad arte, un numero senza contesto. La reazione è immediata.
Per quanto spregiudicata, è una tecnica efficace, perché tocca zone ancestrali del nostro cervello: conosce perfettamente quei due neuroni che usavamo per scappare dai predatori nella preistoria, e li sfrutta ogni giorno mentre scorriamo il feed in pigiama.
Tutto questo accade mentre l’AI impara a generare video realistici in pochi secondi, assottigliando i confini tra realtà e manipolazione e tra manipolazione e provocazione.
È un ambiente così saturo che una quota significativa di persone ha iniziato a evitare le notizie del tutto, non per disinteresse, ma per autodifesa.
In ogni caso, gli inglesi non sono gli unici a essersi presi la briga di trovare una parola per racchiudere l’anno appena trascorso.
Treccani, con uno spirito zen, ha deciso che la parola dell’anno è “fiducia”.
Ammettiamolo: è una parola che su un feed del 2025 fa quasi tenerezza.
Abbi fede, aspetta prima di reagire, prima di saltare a conclusioni affrettate.
Il cortocircuito è evidente, e non ci vuole molto prima che salti tutto: mentre la parola dell’anno inglese ci dice che reagiamo troppo, quella italiana ci invita a fare il contrario.
A scegliere. A fidarci. A respirare. A contare fino a dieci.
Forse è anche per questo che stiamo assistendo a una piccola, curiosa ribellione contro l’intelligenza artificiale.
La riconosci un po’ ovunque, in modo più o meno esplicito.
Qualche esempio recente?
• Spotify Wrapped ha abbandonato l’estetica lucida per grafiche volutamente “fatte a mano”, storte, umane.
• Apple ha fatto lo stesso con la sua campagna di Natale: creaturine animate in modo artigianale, imperfette, morbide.
• Pluribus, la nuova serie di Vince Gilligan, nei titoli di coda ci tiene a precisare che “Questo show è stato fatto da esseri umani”.
È come se il 2025 ci avesse messi davanti a una scelta non dichiarata: inseguire la perfezione artificiale o riscoprire la bellezza del difetto.
E qui la fiducia torna protagonista, perché l’imperfezione richiede un atto di fede.
Serve fiducia per accettare che l’autenticità non è mai levigata.
Serve fiducia per ricordarsi che la verità non nasce dalla perfezione, ma dall’intenzione.
Serve fiducia per non abboccare alla prima indignazione programmata.
Forse è questo lo strano regalo del Natale 2025: mentre cerchiamo di difenderci da contenuti progettati per farci reagire, stiamo imparando a riconoscere ciò che ci fa restare.
Non più la rabbia.
Ma l’essere umano.
Buone feste.